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Corte dei Conti: appalti pubblici primo settore di sviluppo della corruzione

Gli appalti pubblici primo veicolo per la corruzione in Italia, con ricadute pesanti sulla crescita e sulla disponibilità ad investire in Italia da parte dei gruppi stranieri. Il mercato delle opere pubbliche e dei servizi svolti per conto della PA protagonista (in negativo) delle relazioni tenute dal presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri e dal procuratore generale Salvatore Nottola in apertura dell'anno giudiziario a Roma.

Squitieri in particolare ha focalizzato l'attenzione sulla prassi di aggirare le gare da parte delle amministrazioni. E ha detto basta alle «continue proroghe nell'affidamento di servizi e forniture all'interno della Pubblica amministrazione». Secondo il presidente della magistratura contabile, è «un'esigenza assoluta» quella di assicurare «trasparenza e regolarità nelle varie gestioni, attraverso procedure pubbliche che garantiscano un'effettiva parità di posizione tra tutti gli operatori».

Per questo è «negativo il fenomeno, diffuso, delle ripetute proroghe e rinnovi nell'importante settore dell'attività negoziale pubblica atteso che l'affidamento per periodi lunghi allo stesso soggetto di opere, servizi o forniture non sempre risulta corrispondere a canoni di efficienza, trasparenza ed economicità, anche generando, alterazioni del regime concorrenziale, sempre più, peraltro, tutelato dal diritto comunitario», ha concluso.

Nella relazione firmata da Nottola compare un'approfondita analisi delle "storture" del mercato degli appalti – dagli incentivi alla progettazione alle varianti, dall'in house alle procedure negoziate fino alle sanzioni per il soccorso istruttorio – e delle possibili sanzioni a carico dei funzionari pubblici che dovessero incorrere in violazioni o inadempienze. Una relazione conclusa con la constatazione che «la corruzione interessa numerosi settori di attività, primo tra tutti quello degli appalti pubblici». Un fenomeno considerato «dai possibili investitori esteri una delle più significative controindicazioni all'ingresso nel mercato italiano». Rappresentando «un fattore di rallentamento dello sviluppo economico, vieppiù pericoloso in una fase di generale crisi sociale come quella attuale».